Descrizione
La chiesa di Santa Maria alle Grotte si erge solitaria, come un prezioso scrigno incastonato fra le rocce e una vivida vegetazione, unico edificio rimasto di un più ampio complesso monastico benedettino. Sorta su grotte naturali, in un luogo privilegiato, punto di confluenza e di transito di pellegrini e crociati, ha rivelato nel corso dei secoli i segni di una profonda devozione nei confronti di un simulacro della Madonna con il Bambino.
A pochi chilometri dalla badia di San Vincenzo, la chiesa di Santa Maria delle Grotte, collocata a sud-est di Rocchetta a Volturno e a breve distanza dal fiume che bagna il territorio, sorse su grotte naturali come rifugio per i monaci eremiti.
La sequenza di un contesto rupestre rimodellato a scopo abitativo e una serie di attrezzature necessarie per la produzione olearia e vinaria in prossimità del sito, delineano le tracce di un vasto e articolato complesso monastico.
Posto ai limiti di un antico tracciato, che collegava le abbazie benedettine di San Vincenzo e Montecassino, l’insediamento ha avuto inizio sfruttando le cavità rocciose sulle quali venne edificata una chiesa dedicata alla Vergine, evidentemente in memoria di un evento miracoloso occorso in un momento di carestia o calamità naturale. Probabilmente la chiesa è da riferirsi al tardo secolo XII o agli inizi di quello successivo, anche se con questo nome è nota solo dalla metà del XIII secolo. Una campana del 1331 recuperata da Angelo Pantoni a Rocchetta Vecchia e custodita nel campanile della basilica di San Vincenzo reca l’iscrizione “FRATER FRANGISCUS DE VULDE REGIA, PRIOR SCE M DE GRIPTIS”. Questa costituisce la prima testimonianza della chiesa e della presenza di una comunità monastica a Rocchetta. Tale testimonianza, la conformazione della chiesa e la decorazione pittorica interna, confermano la possibilità che vi sia stata una fase di maggior sviluppo della badia, che avrebbe raggiunto il suo apice tra XIII e il XIV secolo.
Sulle origini dell’edificio benedettino non abbiamo notizie precise, ma appare evidente che la sua edificazione è legata all’insediamento del vicino monastero dedicato a San Vincenzo. Una serie di rimaneggiamenti delle strutture e diverse sovrapposizioni, che si sono susseguite nel corso dei secoli, riferibili alle diverse fasi della vita monastica, rendono difficile la comprensione delle stratificazioni e una più precisa cronologia degli ampliamenti subiti.
La scelta del sito è da collegare alla presenza di una serie di grotte naturali che caratterizzano il territorio e hanno poi determinato il nome stesso
della chiesa. Legata sicuramente ai riti arcaici della Madre Terra e all’idea del ventre di Maria, la grotta sembra essere un luogo privilegiato per le ierofanie mariane. In tutto il Mezzogiorno luoghi di culto pagani legati ai riti agropastorali nascono in prossimità di antiche grotte naturali, in seguito dedicati alla Vergine, strutture successive si sovrappongono ad antiche spelonche nelle quali tracce di affreschi mariani contraddistinguono il toponimo.
La chiesa di Rocchetta, che appare come una visione in pietra della teologia benedettina, costruita con tipiche pietre locali, porose e friabili, consta di
due piccole navate, di cui una soltanto comunica con l’esterno, che corrisponde al fianco laterale destro, dove si apre nell’estremità sinistra un elegante portale in alabastro Volturense. Dei tre archi a tutto sesto che incorniciano il portale quello superiore è decorato da foglie d’acanto e poggia su esili colonnine poligonali con capitelli a crochet di raffinata esecuzione che richiamano modelli scultorei diffusi nel corso del Duecento tra la Puglia e l’Abruzzo, a testimonianza di quella circolazione culturale di modelli e di influssi che investì l’area adriatica per tutto il Medioevo. Anche nella sua semplicità il portale mostra i segni di quel raffinato virtuosismo scultoreo, espresso in fitte e sinuose sequenze vegetali, che contraddistingue numerosi edifici sacri molisani tra il XIII e il XIV secolo. Nella lunetta una ormai sbiadita Madonna con Bambino fra due angeli, attesta la centralità del culto mariano e conferma il ruolo di Maria, titolare della chiesa, come simbolo di intercessione. A destra della porta d’accesso, sulla ruvida e scarna muratura due semplici monofore fortemente strombate, offrono l’unica fonte di luce all’interno.
Superato il portale si apre una navata a pianta rettangolare, con andamento verticale, dotata di un presbiterio con arco a sesto acuto e volta a crociera, mentre un’ampia arcata gotica e un più piccolo ingresso arcuato mettono in comunicazione la navata maggiore con quella più antica, di dimensioni minori, delimitata dalla parete rocciosa, sulla quale poggia l’intera struttura. A conclusione della navata minore si apre una cavità naturale, parte terminale dell’originario e più antico impianto della chiesa, successivamente modificata in seguito agli ampliamenti verificatisi nel corso del Medioevo, con l’inserimento di un’arcata, nel momento in cui il vano venne utilizzato come luogo di sepoltura.
Attraverso il presbiterio si raggiungono due ambienti, quello di sinistra collegato mediante una porta, ha funzione di sagrestia, mentre quello a destra, limitato da un arco, risulta essere una vera e propria cappella laterale. Questa parte dell’edificio, che sporge dal muro di sud-ovest, e non si appoggia alle pareti rocciose, risalirebbe al 1513, come ricorda l’iscrizione sulla parete esterna.
L’arcone trionfale a sesto acuto che poggia sugli affreschi campiti sulla parete longitudinale, non anteriori alla seconda metà del XIII secolo, porterebbe a pensare a una fase di ristrutturazione, evidentemente portata a termine tra il XII e il XIII, che coincide anche con la ricostruzione della chiesa di San Vincenzo, completata nel 1115 e consacrata ad opera di Papa Pasquale. Alla seconda metà del XIV secolo va riferita una successiva ristrutturazione, come testimonia un manoscritto dell’archivio della cattedrale di Isernia, ritrovato dal Ciarlanti, quando nel 1349 un terremoto colpì l’intera area. Altri cambiamenti furono apportati nei secoli successivi, e anche gli affreschi subirono manomissioni quando nel 1619 la chiesa fu “rivotata et bianchita”, come testimonia un’epigrafe posta sul portale.
Il santuario di carattere eremitico di tipo rupestre, come molte chiese di fondazione monastica disseminate tra l’Abruzzo, la Campania e la Puglia, fu evidentemente semplice cappellina, caratterizzata da una funzione votiva o stazionale poiché collocata lungo la via antiqua, itinerario percorso dai pellegrini verso le regioni meridionali nei santuari del Gargano e di Bari o diretti verso i porti della costa pugliese, punto d’imbarco per la Terra Santa. Com’è facile comprendere dalle diverse fasi, pur mantenendo il riferimento all’originale connotazione di grotta, una struttura di dimensioni maggiori, dedicata a Santa Maria, fu costruita sulla cavità rocciosa evidentemente non più sufficiente ad accogliere i pellegrini in transito e che sostavano per ringraziare la Vergine per la protezione lungo l’impervio cammino. La chiesa sorge sul percorso che collegava le terre di San Vincenzo alla Campania, dove da Benevento tramite la via Appia-Traiana si procedeva verso i porti pugliesi. Attraversando Aecae e di lì percorrendo la via Peregrinorium, un diverticolo che portava al santuario micaelico del Gargano, si raggiungeva la via litoranea sino al santuario nicolaiano di Bari, tappe importanti lungo la via francigena, mete di un pellegrinaggio non solo locale per tutto il Medioevo ed oltre. Per la naturale posizione geografica il territorio molisano fu un anello importante per lo snodo di itinerari religiosi. Attraverso il sistema di vie consolari di età romana, e i tratturi che collegavano l’Abruzzo alla Puglia, il Molise fu partecipe degli itinerari nord-sud, lungo la fascia adriatica della penisola, e degli itinerari est-ovest, tra l’Adriatico e il Tirreno.